mercoledì, dicembre 20, 2006

Ho tanta stanchezza sulle spalle

Ungaretti presta il titolo e le quattro pallosissime capriole di fumo del focolare.
Un senso di resa pervade le persone che incontro in questi giorni. Poco importa che siano prevalentemente dei pazienti. Fatevi un giro in centro, se riuscite a parcheggiare, e, respirando a stento, guardate gli occhi di chi gira per negozi. Portano quasi tutti la stessa maschera. Mimica ridotta, ipomobile, sguardo vitreo da automa. Il tutto comunque adeguato ai contenuti affettivi esperiti. Cioè il vuoto. I pacchi regalo sono vuoti, chè un oggetto cacciato a forza lì dentro tende ad annullarsi prima ancora di essere restituito alla luce. Perchè nessun sentimento lo veicola.
E dirò di più. Pure questo qualunquismo antinatalizio è vuoto.
La crisi vera del Natale è nella sua memoria. Perchè tutti siamo in qualche modo schiavi di quello che era per noi da bambini. E di quello che noi eravamo da bambini. Impregnati dell'odore del sogno da cui ancora, al mondo da pochi anni, non ci eravamo di molto distaccati. Così vicini all'origine da sentirne ancora una dolce nostalgia, quella che oggi non possiamo percepire più. Perchè oggi sentiamo lo scorrere del tempo e non possiamo più abbandonarci a quella vita senza orologio che allora era. La critica del Natale per me già abitava nella memoria felice dei miei Natali remoti. Alle elementari si iniziava a settembre con le prove della "recita di Natale" e per tutti i primi mesi si era attori in erba in balia di maestre da Actor's Studio. Ed ho il ricordo nitido della mia maestra comunista (allora non si poteva dire, oggi se lo dici ridono...) che mi faceva studiare la parte in questo racconto di Dino Buzzati. La tirata contro il consumismo allora era già parte della retorica, pure quando a scriverne era forse uno dei più grandi scrittori italiani di quegli anni.
Il Natale è uno sciroppo amaro di quelli che non vorresti ingoiare mai. E' un farmaco che riattiva dei circuiti mnesici silenti e silenziati. E' il fantasma della famiglia, questo cadavere sociale che cammina a stento. E' il conto dell'ultima cena, il focolare che brucerà il legno dei ricordi fino a restituirci il carbone dell'Epifania.
Ma no, non me la sento di parlarne male. Perchè da medico so che a volte anche i beveroni amari servono. E solo perchè ci troviamo di nuovo bambini scomodi in corpi cresciuti come si può, non facciamo i capricci. Glub!

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Il Natale è un farmaco...
Ora capisco perché sotto l'albero ho trovato il Toradol...
Mic

Anonimo ha detto...

Caro Serenase, anche io oggi ho parlato del natale attraverso i ricordi, è tutto vero...lo trascorriamo sulla base di tradizioni vecchie come noi o più dinoi e l'apatia e il vuoto dell'occhio sta (almeno da parte mia) proprio perchè son cresciuta con la tradizione che qualsiasi cosa accada è natale!
Capitana

Anonimo ha detto...

Io, che sono una bimba, faccio i capricci e non faccio nessun regalo.
Tanto Babbo Natale lo sa che sono cattiva e da me non passa.