venerdì, agosto 17, 2007

La luna e i paltò

“Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”.
Avevi ragione appieno, caro Cesare, ma a te il ritorno dava inquietudine, la stessa che il vivere non riusciva a placarti. E così quest’anno sono tornato, anch’io nel paese in cui non sono nato ma che è il mio, senza dubbio, dove i monti dell’Appennino si aprono in caverne e fan suonare i tuoni più bassi e ti cullano come grembo di madre.
Pochi i giorni di vacanza quest’anno, mi ero detto. E un grammo di rabbia mi rodeva. E’ dura, essere il più giovane di un blocco di colleghi altisonanti, il tappabuchi del loro riposo. Eppure ora sento di averli in qualche modo stracciati. C’è chi gode di un periodo lungo, chi si sente in ferie solo se viaggia lontano. Soltanto tempo e spazio dilatati sembrano essere l’essenza del riposo e del ristoro. Ma c’è un’altra dimensione della vacanza, che non è contemplata nei cataloghi delle agenzie. Ed è quella della memoria, dell’emozione e delle radici.
E un viaggio in questa profondità vale la più lunga e tortuosa crociera per i lidi assolati e remoti del nostro pianeta.
Potrei scrivere qui: dell’emozione di un volto che ti guarda, gli stessi tuoi lineamenti scavati dalla storia; della luce interiore che ti accende la foto di una lapide in un cimitero assolato e sperduto; di un uomo che ti riaccompagna vent’anni dopo a rivedere dove bambini giocavate insieme, e giocarci di nuovo con quello che è oggi suo figlio; della fatica di sopravvivere a certi pranzi, maratone della gola, ma inevitabili gesti di amore; di luoghi rifugi dei partigiani, ancora oggi vie di fuga da un mondo impazzito; di grotte, grottoni, Madonne, messeri, corti e cortili; di giovani che impazziscono per un palio medievale dove premio è un’oca; della gioia di portare alle tue radici un annuncio di festa e una persona che ti e gli scalda il cuore.
Potrei scrivere di tutto questo, ma tutto ciò di parole non ha bisogno, perché quello che da un occhio passa all’altro arriva prima all’ippocampo e al sistema limbico, alla memoria e all’emozione. E i centri che regolano la parola da lì sono troppo lontani e si vergognano di raccontare quanto è così intimo.
“C’è una ragione perché sono tornato in questo paese…” e io e il mio cuore ora la conosciamo bene. E la fatica, il dolore, l’inverno che verrà non ci spaventano più.
Perché questo ritorno ci scalderà più della lana del più pesante dei paltò.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

"c'è una ragione al mio ritorno..."

ho finito i soldi.

Vitalux ha detto...

Pizzighettone costava troppo.

Anonimo ha detto...

Bellissimo Sere, ed io , regina incontrastata di tutti i ricordi, non posso che apprezzare tanto le tue parole!
Sinforosa.

Anonimo ha detto...

Mi pare un viaggio bellissimo...quasi meglio delle Maldive! :-*