"E dunque, che ce ne facciamo di un sogno nella vita di tutti i giorni? Mi permettete di offrire qualche suggerimento pratico? Prima di tutto, non cercate di sfuggirlo. Lasciate che vi stia attorno, che vi confonda, vi affligga, che infesti di immagini i vostri sentimenti. Viveteci, con quel cane giallo, con quella serpe. Non perdete mai d’occhio l’erba.
Secondo: resistete al bisogno di sapere. Dominate il vostro impulso alla conoscenza, l’urgenza apollinea di leggere il sogno per trarne un chiarimento, una profezia. “Sogni premonitori”, “sogni buoni o cattivi”. Non sapete che cosa li ha prodotti, perché sono venuti, che cosa significano. Evitate le formulazioni concettuali. [...]
Terzo: non vi sforzate di collegare il sogno alla veglia e alle sue ansie. E’ vero, può capitare che un sogno offra la soluzione a un problema. Quante volte romanzieri, inventori e matematici, sfiniti dalla fatica, si sono coricati sconfitti e hanno trovato nella notte le risposte che cercavano, sotto forma di dono ricevuto in sogno. Ma si tratta di casi per i quali al mattino ringraziano gli dèi intervenuti in loro soccorso. Casi fortuiti e, a volte, sciagurati: ostinandoci a leggere il sogno direttamente nei termini del problema, possiamo perderci altri spunti impigliati nel groviglio di immagini.
Ricordate: strumentalizzare un sogno alla soluzione di un problema della quotidianità significa utilizzarlo a scopi personali, cadendo nell’errore fondamentale del pensiero di Artemidoro, vale a dire che il sogno ci appartenga di diritto, come un servo con il compito di compiacere la nostra individualità.
Quarto: se proprio non riuscite a evitare la sensazione che il sogno parli per voi, accoglietelo come un ospite. Apritegli la porta di casa, dategli il benvenuto. Insegnate ai vostri figli a essere felici di avere sognato; fatevi raccontare i loro sogni a colazione, lasciando che i fantasmi della notte dividano con voi la tazza di caffè, il buon succo d’arancia. Il sogno diventa così parte della vita familiare. In effetti sono spesso i più piccoli a partecipare più intensamente ai sogni raccontati a tavola. [...] Interrogatelo pure, il vostro sogno, ma evitate quelle osservazioni interpretative che potrebbero farne appassire le immagini. Siate sensibili e avveduti. Lasciate che il sogno parli la sua lingua. [...]
Quinto, considerate che il sogno è un intero e che ogni sua parte va ricondotta al resto. Il vecchio albero sradicato davanti alla casa di quando eravate bambini, la diva del cinema che vi dice qualcosa che al risveglio non riuscite a ricordare, la sensazione che vostra madre morta o una donna che le somiglia vi stesse accanto a bordo di una piccola imbarcazione…tutti questi frammenti stanno insieme perché il sogno li ha uniti in un mosaico, un collage e, alla presenza di uno, si accompagna quella di tutti gli altri. E’ da seguace di Apollo praticare rigide distinzioni, selezionare, scomporre, per conoscere meglio il frammento.
Sesto: lasciate che il sogno si sposti. Se non lo fa, trasformatelo in una fantasticheria. Come un autore, permettete ai personaggi del vostro teatro notturno di esprimersi. Non imbeccateli. Accertatevi che ciò che dicono arrivi da loro stessi e non da voi.
Che cosa vuole il sogno, ecco la chiave. Voltatevi: affrontate il cane dal quale state fuggendo. Chiedetevi, che cosa vorrà? Perché è venuto a turbare il mio sonno? Domandatevi che cosa prova lui, anziché registrare unicamente il vostro spavento. E quello scenario arcano nel quale i sogni vi riportano insistentemente, così noto e al tempo stesso misterioso, quello scenario da cui cercate di evadere, in cui cercate una via, un percorso a ritroso per svegliarvi con l’ansia di non essere riusciti a uscirne? Che paese è questo in cui trascorrete tante notti? Quale richiamo esercita su di voi? E di nuovo, che cosa vuole?
Forse quello del sogno è un io diverso dal vostro, forse sta muovendo i primi passi nel territorio dell’immaginazione e tra le sue creature.
Il che ci conduce al mio settimo suggerimento, il più importante di tutti. Lasciatevi travolgere dal sogno. Ecco la parola chiave: partecipazione, anziché interpretazione. Immersione, come un tuffo nella musica, un senso di coinvolgimento. “Travolti in questa musica dei sensi/ Non curano la gloria d’altri tempi” , scriveva W.B.Yeats contrastando così, con l’immagine dionisiaca, gli sforzi apollinei di ottenere una forma statica e identificabile. "
Secondo: resistete al bisogno di sapere. Dominate il vostro impulso alla conoscenza, l’urgenza apollinea di leggere il sogno per trarne un chiarimento, una profezia. “Sogni premonitori”, “sogni buoni o cattivi”. Non sapete che cosa li ha prodotti, perché sono venuti, che cosa significano. Evitate le formulazioni concettuali. [...]
Terzo: non vi sforzate di collegare il sogno alla veglia e alle sue ansie. E’ vero, può capitare che un sogno offra la soluzione a un problema. Quante volte romanzieri, inventori e matematici, sfiniti dalla fatica, si sono coricati sconfitti e hanno trovato nella notte le risposte che cercavano, sotto forma di dono ricevuto in sogno. Ma si tratta di casi per i quali al mattino ringraziano gli dèi intervenuti in loro soccorso. Casi fortuiti e, a volte, sciagurati: ostinandoci a leggere il sogno direttamente nei termini del problema, possiamo perderci altri spunti impigliati nel groviglio di immagini.
Ricordate: strumentalizzare un sogno alla soluzione di un problema della quotidianità significa utilizzarlo a scopi personali, cadendo nell’errore fondamentale del pensiero di Artemidoro, vale a dire che il sogno ci appartenga di diritto, come un servo con il compito di compiacere la nostra individualità.
Quarto: se proprio non riuscite a evitare la sensazione che il sogno parli per voi, accoglietelo come un ospite. Apritegli la porta di casa, dategli il benvenuto. Insegnate ai vostri figli a essere felici di avere sognato; fatevi raccontare i loro sogni a colazione, lasciando che i fantasmi della notte dividano con voi la tazza di caffè, il buon succo d’arancia. Il sogno diventa così parte della vita familiare. In effetti sono spesso i più piccoli a partecipare più intensamente ai sogni raccontati a tavola. [...] Interrogatelo pure, il vostro sogno, ma evitate quelle osservazioni interpretative che potrebbero farne appassire le immagini. Siate sensibili e avveduti. Lasciate che il sogno parli la sua lingua. [...]
Quinto, considerate che il sogno è un intero e che ogni sua parte va ricondotta al resto. Il vecchio albero sradicato davanti alla casa di quando eravate bambini, la diva del cinema che vi dice qualcosa che al risveglio non riuscite a ricordare, la sensazione che vostra madre morta o una donna che le somiglia vi stesse accanto a bordo di una piccola imbarcazione…tutti questi frammenti stanno insieme perché il sogno li ha uniti in un mosaico, un collage e, alla presenza di uno, si accompagna quella di tutti gli altri. E’ da seguace di Apollo praticare rigide distinzioni, selezionare, scomporre, per conoscere meglio il frammento.
Sesto: lasciate che il sogno si sposti. Se non lo fa, trasformatelo in una fantasticheria. Come un autore, permettete ai personaggi del vostro teatro notturno di esprimersi. Non imbeccateli. Accertatevi che ciò che dicono arrivi da loro stessi e non da voi.
Che cosa vuole il sogno, ecco la chiave. Voltatevi: affrontate il cane dal quale state fuggendo. Chiedetevi, che cosa vorrà? Perché è venuto a turbare il mio sonno? Domandatevi che cosa prova lui, anziché registrare unicamente il vostro spavento. E quello scenario arcano nel quale i sogni vi riportano insistentemente, così noto e al tempo stesso misterioso, quello scenario da cui cercate di evadere, in cui cercate una via, un percorso a ritroso per svegliarvi con l’ansia di non essere riusciti a uscirne? Che paese è questo in cui trascorrete tante notti? Quale richiamo esercita su di voi? E di nuovo, che cosa vuole?
Forse quello del sogno è un io diverso dal vostro, forse sta muovendo i primi passi nel territorio dell’immaginazione e tra le sue creature.
Il che ci conduce al mio settimo suggerimento, il più importante di tutti. Lasciatevi travolgere dal sogno. Ecco la parola chiave: partecipazione, anziché interpretazione. Immersione, come un tuffo nella musica, un senso di coinvolgimento. “Travolti in questa musica dei sensi/ Non curano la gloria d’altri tempi” , scriveva W.B.Yeats contrastando così, con l’immagine dionisiaca, gli sforzi apollinei di ottenere una forma statica e identificabile. "
Se volete leggerla tutta eccovi: la lezione di Hillman in pdf, oppure in formato word (che a volte da meno problemi ad aprirsi ed è di sole otto pagine).
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